Un reportage a tutta pagina dell’inviato Conchita Sonnino. In contemporanea all’editoriale di Luigi Palamara su Melitoonline-Mnews.it
ROCCAFORTE DEL GRECO CONQUISTA “LA REPUBBLICA”
Domenico Salvatore
Non sappiamo se il giornalista Luigi Palamara, abbia la sfera magica davanti o qualche “ramo” di parentela con Tiresia, Calcante, Cassandra, Laocoonte, ma aveva previsto e con largo anticipo, ne siamo testimoni oculari, che le testate nazionali, si sarebbero interessate del suo ‘borgo natìo’. Non più tardi di ieri pomeriggio, a bordo di un fuoristrada, l’unico mezzo, che abbia qualche possibilità di non finire la sua corsa, dentro una voragine, una cunetta, un dosso, un raro parapetto, sulla mulattiera dell’Aspromonte, ci siamo avventurati…”Direttore, ci aveva confidato, voglio salire al paese, per sentire la gente; effettuare delle interviste; fotografare i luoghi della memoria; cogliere delle impressioni” Sentieri fioriti, cascate di fiori di ginestra, i profumi della natura incontaminata, il verde, l’ossigeno. Sullo sfondo, Roccaforte del Greco, un paese, interamente costruito sulla roccia, costruìto tanti secoli fa, dalle popolazioni elleniche. Ancora oggi, non è raro sentire vispe terese e vecchietti arzilli con le mani incallite, ormai senza speranza, scambiarsi delle battute, in stretto Grecanico; novelli Filemone e Bauci. Ovidio, direbbe… “Vivebant olim in Phrygia Philemo et Baucis, pius, vir et pia femina. In parva casa habitabant, tamen fortuna sua contenti erant…”.
Dall’altra parte della sponda dell’Amendolea, adagiato su un promontorio, un’altra ghost town, Roghudi, sogna di poter risorgere dalle sue stesse ceneri, come l’araba fenice. Quella storica fiumara dell’Alece, che divideva le poleis Rhegion e Locri, che Angiolo Silvio Novaro avrebbe pennellato così…”C’era una volta un giovane ruscello/color di perla, che alla vecchia valle/tra molli giunchi e pratoline gialle,/correva snello;/e c’era un bimbo che gli tendea le mani/dicendo: “A che tutto cotesto foco?/Posa un po’ qui: si gioca un caro gioco/se tu rimani…”. Ansimando fugge la “Campagnola” fra due filari scheletriti di “natura morta” che strinsero il cuore di Luigi, allorchè, vide con occhi atterriti ed intrisi di pianto, lo scempio di’Nerone’ sui sentieri e le balze fantasmagoriche…Cropanè, Maesano , Zumbello, Menta, Cufalo… che cingevano la reggia degli dèi. A bordo pistasi ode il canto dell’usignuolo, sopra un prunus avium, che adorna la provinciale; carico di bacche amaranto penzoloni di ciliegio degli uccelli. In zona Paci, si ode ancora, il mormorio dell’antico ruscello, che sgorga dalla viva roccia. Acqua di fonte oligominerale, antiurica e diuretica; esente da pesticidi e diserbanti; scevra da molinate, atrazina, bentazone.Telecamera e fotocamera, indugiano sulle piccole frane a bordo pista, che fanno bella mostra di sé da anni, La scuola abbandonata da parecchio tempo; la aiuole del monumento ai caduti infestate dalle erbacce; l’insegna sbiadita delle Poste, che funzionano a singhiozzo; la cancellata della scuola media, serrata con catenacci arrugginiti; lo stadio “Antonio Maesano”, muto come un pesce, deserto come il Sahara.
Di sotto, Roghudi Antico, che Agostino Zavettieri, sogna di far rivivere; sormontato da Ghorio di Roghudi, in cui si avvertono segni di vitalità. Dalla balza del “Castello” s’intravede il campanile della chiesa di Chorio di Roccaforte, poco sotto lo stadio. L’occhio magico della telecamera mobile, indugia sulla monumentale chiesa, che domina la vallata. Il centro storico, è una litania di insegne obsolete di mura cadenti, di caseggiati ammonticchiati, là dove c’era la vita; in cui si svolgeva la routine quotidiana; fino ad un paio di decenni fa dinamico, efficiente, funzionale e brulicante di cittadini; di gradini screpolati, aggrediti dal muschio e dall’incuria sono nidi di lucertole e formiche; scale, che rievocano versi leopardiani…“La donzelletta vien dalla campagna,/In sul calar del sole,/Col suo fascio dell'erba; e reca in mano/Un mazzolin di rose e di viole,/Onde, siccome suole,/Ornare ella si appresta/Dimani, al dì di festa, il petto e il crine./Siede con le vicine/Su la scala a filar la vecchierella,/Incontro là dove si perde il giorno;/E novellando vien del suo buon tempo,/Quando ai dì della festa ella si ornava,/Ed ancor sana e snella/Solea danzar la sera intra di quei/Ch'ebbe compagni dell'età più bella./…”.
Luigi, è ‘a casa sua’; entra bel pubblico esercizio con disinvoltura; saluta, rivolge qualche domanda, scelta con cura. Anche le inquadrature sono selezionate; e problemi non ha. Dentro il bar, l’unico del paese del partigiano Pietro Perpiglia, ancora aperto; ci sono pochissime persone, che non vogliono ‘scoprire le batterie’. Tuttavia un paio di missili terra-aria, quasi a mezzavoce, contro lo Stato assente e padre-padrone, li sganciano dalle loro rampe semoventi…”Se Roccaforte si trova in queste condizioni di miseria ed abbandono, la colpa principale è del Governo; se Roccaforte è isolata e vive nell’anonimato, la colpa è dello Stato, che non ha voluto costruire una strada lungo l’Amendolea; se c’è disoccupazione e la gente scappa, la colpa è sempre degli amministratori ad ogni livello”. Attraversiamo tutta la spina dorsale del paese, senza incontrare anima viva. A parte un paio di donne che si muovono intorno all’altarino del Corpus Domini; che chiedono subito, di non essere inquadrate, né intervistate in Italiano; e nemmeno in dialetto. C’è qualcheduno che parla a ruota libera ed a briglia sciolta, ma lontano dalle telecamere. Balconi chiusi, finestre serrate, “vineddhe” deserte. Ogni mattina per gentile concessione del poeta vernacolare “Cicciodemetrio”facciamo una specie di rassegna stampa e poi commentiamo. Stamani siamo rimasti di stucco, quando sfogliando “La Repubblica” a pagine 16, riconosciamo subito le foto; simili alle nostre scattate alcune ore prima.
E più sotto il reportage, che riportiamo in fotografia qui sotto. Niente di male. Un normale reportage sulle elezioni comunali; un commento al voto. Ma l’oggetto, non sono le amministrative a Milano, Roma, Napoli o Torino. Città, che superano tutte, il milione di abitanti. Nooo! Stiamo parlando, di un paesino sperduto dell’Aspromonte, di poche centinaia di abitanti; isolato dalla neve e dalle alluvioni frequenti e soprattutto dalla mancanza di una strada decente. L’unica arteria che, bene o male, collega col mondo cosiddetto “civile” è la strada provinciale, che si snoda dal bivio per San Lorenzo, attraverso Santa Maria. Perennemente transennata, da cartelli con la scritta “lavori in corso”. Interi tratti di strada “galleggiano” sulla faglia di sant’Andrea. Mai riattivati prima di sette-otto mesi; e perfino un anno; se non di più. Si va avanti a’strozzamuddhica’…pastorizia, pochissima agricoltura, qualche raro impiegato e dipendenti della “Forestale”. Il resto sono pensionati e disoccupati. I morti non vengono compensati con le nascite. Le giovani coppie dopo il matrimonio vanno via. Così il paese si “sbacanta”. I fiori sulla tomba del caro estinto, arrivano solo in occasione della Feste dei Defunti od in particolari circostanze.
Il camposanto è un vero…cimitero. E non c’è nessuno che vada a pregare. Vunì, anzi Roccaforte del Greco, ha conquistato le pagine de”La Repubblica”, ma c’è da giurare che non sarà l’unica conquista. Il Comune è stato sciolto tre volte per mafia, (record, che condivide con Melito Porto Salvo) ma l’ultimo processo ha fatto ploff! Quasi tutti assolti. Roccaforte del Greco, non fa certamente parte del “triangolo d’oro” Africo-San Luca-Platì; né del “triangolo delle Bermude” Locri-Siderno-Gioioa Jonica, autentiche centrali della ‘ndrangheta e dell’anonima sequestri calabrese Domanda: come mai Roccaforte del Greco è diventato l’ombelico del mondo dell’informazione? Va be’ che, quando ci sia di mezzo un paese qualsiasi della Calabria, una palata di fango in faccia, non la si nega mai a nessuno, ma qui si va oltre. Il reportage de “La Repubblica”, non è piaciuto per niente e si preannunciano, clamorose prese di posizione dell’ala intellettuale ‘roccaforticiana’, “Ci saranno pure le capre, le pecore ed i maiali”; ci saranno pure gli ‘ndranghetisti certificati, ma a Roccaforte del Greco, checché se ne dica, ci sono pure laureati, poeti, giornalisti, persone oneste, laboriose ed intelligenti. Questo è certo. Non sappiamo ancora, se vi saranno azioni legali a sostegno del buon nome. I legali di fiducia, stanno passando al setaccio il reportage, per capire se vi siano gli estremi della querela.
La Calabria con i suoi 700 chilometri di costa, quattro aeroporti (uno in progettazione), una serie infinita di porti, porticcioli e darsene ed una catena di alberghi, hotels, ristoranti, camping, villaggi turistici a cinque stelle, quattro e tre e con diversivi di antichità e belle arti, dai Bronzi di Riace alle tele di Mattia Preti, rappresenta davvero un paradiso delle vacanze. Dirottare i flussi turistici, da un punto all’altro, significa, movimentare miliardi di euri. Ecco anche e non solo, “perché” il ‘diavolo Calabria’ dev’essere dipinto il più brutto possibile. Vele azzurre e bandierine blu, il meno che sia possibile. Vi sono zone di costa addirittura deserte, dove non ci va mai nessuno, che farebbero impallidire i paradise beach più gettonati del jet Set. Due esempi clamorosi:Scilla sul Tirreno e Melito Porto Salvo sullo Jonio, scoppiano letteralmente di turisti, ma niente bandierine e vele azzurre. Alla miopia, malafede ed ignoranza, non c’è mai fine. Certo che, se gli tolgono anche l’ospedale, nessuno ci vorrà andare più. Il turismo, potrebbe essere la panacea di tutti i mali. Il nuovo eldorado. Eppure giocano tutti a…perdere. A remare contro. Chissà per quale ragione! Roccaforte è un piccolo paese, ma se diventa (non solo su “La Repubblica”)l’omphalos, può tornare utile per scardinare tutto. Vunì, non è il Tempio di Apollo a Delfi, da cui la Pizia diffondeva i suoi vaticini. Roccaforte, non risponde come Rhett Butler a Rossella O’Hara in ‘Via col Vento’…”Francamente me ne infischio”. Vuole capire cosa c’azzecchi, in questo bailamme, un paesino di poche anime infilato nel cuore dell’Aspromonte, che vive di anonimato ed isolamento. C’è ‘sotto’, qualche cosa? Ma poi quei riferimenti…‘Ndrangheta, la faida, il prete giovane, la lista ‘Fiamma Tricolore’, lo scioglimento per mafia, paese fantasma, vendetta contro lo Stato.
Domenico Salvatore
ROCCAFORTE. Io giornalista tra le strade incupite della mia infanzia luminosa
ROCCAFORTE DEL GRECO CONQUISTA “LA REPUBBLICA”
Domenico Salvatore
Non sappiamo se il giornalista Luigi Palamara, abbia la sfera magica davanti o qualche “ramo” di parentela con Tiresia, Calcante, Cassandra, Laocoonte, ma aveva previsto e con largo anticipo, ne siamo testimoni oculari, che le testate nazionali, si sarebbero interessate del suo ‘borgo natìo’. Non più tardi di ieri pomeriggio, a bordo di un fuoristrada, l’unico mezzo, che abbia qualche possibilità di non finire la sua corsa, dentro una voragine, una cunetta, un dosso, un raro parapetto, sulla mulattiera dell’Aspromonte, ci siamo avventurati…”Direttore, ci aveva confidato, voglio salire al paese, per sentire la gente; effettuare delle interviste; fotografare i luoghi della memoria; cogliere delle impressioni” Sentieri fioriti, cascate di fiori di ginestra, i profumi della natura incontaminata, il verde, l’ossigeno. Sullo sfondo, Roccaforte del Greco, un paese, interamente costruito sulla roccia, costruìto tanti secoli fa, dalle popolazioni elleniche. Ancora oggi, non è raro sentire vispe terese e vecchietti arzilli con le mani incallite, ormai senza speranza, scambiarsi delle battute, in stretto Grecanico; novelli Filemone e Bauci. Ovidio, direbbe… “Vivebant olim in Phrygia Philemo et Baucis, pius, vir et pia femina. In parva casa habitabant, tamen fortuna sua contenti erant…”.
Dall’altra parte della sponda dell’Amendolea, adagiato su un promontorio, un’altra ghost town, Roghudi, sogna di poter risorgere dalle sue stesse ceneri, come l’araba fenice. Quella storica fiumara dell’Alece, che divideva le poleis Rhegion e Locri, che Angiolo Silvio Novaro avrebbe pennellato così…”C’era una volta un giovane ruscello/color di perla, che alla vecchia valle/tra molli giunchi e pratoline gialle,/correva snello;/e c’era un bimbo che gli tendea le mani/dicendo: “A che tutto cotesto foco?/Posa un po’ qui: si gioca un caro gioco/se tu rimani…”. Ansimando fugge la “Campagnola” fra due filari scheletriti di “natura morta” che strinsero il cuore di Luigi, allorchè, vide con occhi atterriti ed intrisi di pianto, lo scempio di’Nerone’ sui sentieri e le balze fantasmagoriche…Cropanè, Maesano , Zumbello, Menta, Cufalo… che cingevano la reggia degli dèi. A bordo pistasi ode il canto dell’usignuolo, sopra un prunus avium, che adorna la provinciale; carico di bacche amaranto penzoloni di ciliegio degli uccelli. In zona Paci, si ode ancora, il mormorio dell’antico ruscello, che sgorga dalla viva roccia. Acqua di fonte oligominerale, antiurica e diuretica; esente da pesticidi e diserbanti; scevra da molinate, atrazina, bentazone.Telecamera e fotocamera, indugiano sulle piccole frane a bordo pista, che fanno bella mostra di sé da anni, La scuola abbandonata da parecchio tempo; la aiuole del monumento ai caduti infestate dalle erbacce; l’insegna sbiadita delle Poste, che funzionano a singhiozzo; la cancellata della scuola media, serrata con catenacci arrugginiti; lo stadio “Antonio Maesano”, muto come un pesce, deserto come il Sahara.
Di sotto, Roghudi Antico, che Agostino Zavettieri, sogna di far rivivere; sormontato da Ghorio di Roghudi, in cui si avvertono segni di vitalità. Dalla balza del “Castello” s’intravede il campanile della chiesa di Chorio di Roccaforte, poco sotto lo stadio. L’occhio magico della telecamera mobile, indugia sulla monumentale chiesa, che domina la vallata. Il centro storico, è una litania di insegne obsolete di mura cadenti, di caseggiati ammonticchiati, là dove c’era la vita; in cui si svolgeva la routine quotidiana; fino ad un paio di decenni fa dinamico, efficiente, funzionale e brulicante di cittadini; di gradini screpolati, aggrediti dal muschio e dall’incuria sono nidi di lucertole e formiche; scale, che rievocano versi leopardiani…“La donzelletta vien dalla campagna,/In sul calar del sole,/Col suo fascio dell'erba; e reca in mano/Un mazzolin di rose e di viole,/Onde, siccome suole,/Ornare ella si appresta/Dimani, al dì di festa, il petto e il crine./Siede con le vicine/Su la scala a filar la vecchierella,/Incontro là dove si perde il giorno;/E novellando vien del suo buon tempo,/Quando ai dì della festa ella si ornava,/Ed ancor sana e snella/Solea danzar la sera intra di quei/Ch'ebbe compagni dell'età più bella./…”.

La Calabria con i suoi 700 chilometri di costa, quattro aeroporti (uno in progettazione), una serie infinita di porti, porticcioli e darsene ed una catena di alberghi, hotels, ristoranti, camping, villaggi turistici a cinque stelle, quattro e tre e con diversivi di antichità e belle arti, dai Bronzi di Riace alle tele di Mattia Preti, rappresenta davvero un paradiso delle vacanze. Dirottare i flussi turistici, da un punto all’altro, significa, movimentare miliardi di euri. Ecco anche e non solo, “perché” il ‘diavolo Calabria’ dev’essere dipinto il più brutto possibile. Vele azzurre e bandierine blu, il meno che sia possibile. Vi sono zone di costa addirittura deserte, dove non ci va mai nessuno, che farebbero impallidire i paradise beach più gettonati del jet Set. Due esempi clamorosi:Scilla sul Tirreno e Melito Porto Salvo sullo Jonio, scoppiano letteralmente di turisti, ma niente bandierine e vele azzurre. Alla miopia, malafede ed ignoranza, non c’è mai fine. Certo che, se gli tolgono anche l’ospedale, nessuno ci vorrà andare più. Il turismo, potrebbe essere la panacea di tutti i mali. Il nuovo eldorado. Eppure giocano tutti a…perdere. A remare contro. Chissà per quale ragione! Roccaforte è un piccolo paese, ma se diventa (non solo su “La Repubblica”)l’omphalos, può tornare utile per scardinare tutto. Vunì, non è il Tempio di Apollo a Delfi, da cui la Pizia diffondeva i suoi vaticini. Roccaforte, non risponde come Rhett Butler a Rossella O’Hara in ‘Via col Vento’…”Francamente me ne infischio”. Vuole capire cosa c’azzecchi, in questo bailamme, un paesino di poche anime infilato nel cuore dell’Aspromonte, che vive di anonimato ed isolamento. C’è ‘sotto’, qualche cosa? Ma poi quei riferimenti…‘Ndrangheta, la faida, il prete giovane, la lista ‘Fiamma Tricolore’, lo scioglimento per mafia, paese fantasma, vendetta contro lo Stato.
Domenico Salvatore
ROCCAFORTE. Io giornalista tra le strade incupite della mia infanzia luminosa
Roccaforte del Greco (Reggio Calabria) - l'urlo di disperazione non si sente ma è strisciante nell'aria, per le strade, per i vicoli, nello sguardo della gente. Un degrado e un senso di abbandono che sono come un pugno secco e improvviso nello stomaco. Rimani senza respiro, con gli occhi spalancati, incredulo. Tutto è cambiato rapidamente, una manciata d'anni e tutto non è più come prima.
Nemmeno i rumori, le voci, i profumi, i colori sono più come allora. Sembra un altro posto. E invece è Roccaforte del Greco. Il mio paese. Ci sono nato, ho vissuto la mia infanzia. i migliori anni della mia vita. Spensieratezza, gioia, musica, allegria, VITA.
I miei genitori, tutti i padri, le madri, hanno "stentato", hanno fatto sacrifici per tentare di darci un futuro migliore. Ma di futuro migliore rimane solo quel presente oramai passato.
Sulla via Provinciale una casa oggi un rudere, un tempo pieno di vita. Un papavero, rosso, imperioso, al centro di una cornice. Monet non avrebbe saputo far meglio. Il tempo ha reso bello, artistico quella desolazione e squallore che stava per prendere il sopravvento tra le mie sensazioni. Una forte emozione. il bello a Roccaforte del Greco c'è ancora. Niente è perso. E' solo lì, trascurato, maltrattato.
Cerco di cogliere dalla gente gli spunti per rendere il reportage non scontato. E' difficile però fare il giornalista con chi ti sei cresciuto, con chi hai condiviso parte della tua fanciullezza. E allora si chiacchiera davanti alla telecamera. E ne viene fuori uno spaccato di vita vera. Fatta di dignità, orgoglio e nello stesso tempo di tristezza, di malinconia. Le parole perdono il senso, il significato. Gli occhi, gli sguardi chiedono senza dire le parole dicono senza chiedere, con l'umiltà di chi non ha mai chiesto apertamente e nello stesso tempo sà che è arrivato il momento per farlo.
Uno Stato che col passare del tempo ha accompagnato il declino del paese, il degrado del territorio, la sfiducia della gente. Uno Stato assente, distratto, cinico.
Lo spopolamento è a livelli storici. Le case vuote, Per strada quasi più nessuno.
In questi giorni colleghi giornalisti di testate nazionali hanno pensato bene di evidenziare l'astensione al voto delle recenti amministrative comunali. 61 votanti su 522. Una debacle incredibile? Dipende.
Certo i numeri sono importanti, ma come diceva Robert Kennedy nel 1968, i numeri non sono tutto. In un paese contano anche e soprattutto i sentimenti, le passioni, le aspirazioni della gente; e questi certo non li troviamo nei numeri. E allora bisogna cercare altrove. Altro che fare medie e balle varie.
Cercare i piccoli tesori nascosti in ogni persona. L'opera d'arte che un rudere può nascondere e portarlo alla luce.
Il papavero rosso in una finestra di una casa diroccata ma ricca di storia è quel barlume di speranza che rappresenta la vitalità di Roccaforte del Greco. Tocca allo Stato fare in modo che venga tutelato e valorizzato. Il resto sono solo numeri e la GENTE non ha bisogno di numeri. Vuole vivere. Vuole sognare. Vuole soprattutto sentirsi orgogliosa di essere Roccaforticiana.
Luigi Palamara
Nemmeno i rumori, le voci, i profumi, i colori sono più come allora. Sembra un altro posto. E invece è Roccaforte del Greco. Il mio paese. Ci sono nato, ho vissuto la mia infanzia. i migliori anni della mia vita. Spensieratezza, gioia, musica, allegria, VITA.
I miei genitori, tutti i padri, le madri, hanno "stentato", hanno fatto sacrifici per tentare di darci un futuro migliore. Ma di futuro migliore rimane solo quel presente oramai passato.
Sulla via Provinciale una casa oggi un rudere, un tempo pieno di vita. Un papavero, rosso, imperioso, al centro di una cornice. Monet non avrebbe saputo far meglio. Il tempo ha reso bello, artistico quella desolazione e squallore che stava per prendere il sopravvento tra le mie sensazioni. Una forte emozione. il bello a Roccaforte del Greco c'è ancora. Niente è perso. E' solo lì, trascurato, maltrattato.
Cerco di cogliere dalla gente gli spunti per rendere il reportage non scontato. E' difficile però fare il giornalista con chi ti sei cresciuto, con chi hai condiviso parte della tua fanciullezza. E allora si chiacchiera davanti alla telecamera. E ne viene fuori uno spaccato di vita vera. Fatta di dignità, orgoglio e nello stesso tempo di tristezza, di malinconia. Le parole perdono il senso, il significato. Gli occhi, gli sguardi chiedono senza dire le parole dicono senza chiedere, con l'umiltà di chi non ha mai chiesto apertamente e nello stesso tempo sà che è arrivato il momento per farlo.
Uno Stato che col passare del tempo ha accompagnato il declino del paese, il degrado del territorio, la sfiducia della gente. Uno Stato assente, distratto, cinico.
Lo spopolamento è a livelli storici. Le case vuote, Per strada quasi più nessuno.
In questi giorni colleghi giornalisti di testate nazionali hanno pensato bene di evidenziare l'astensione al voto delle recenti amministrative comunali. 61 votanti su 522. Una debacle incredibile? Dipende.
Certo i numeri sono importanti, ma come diceva Robert Kennedy nel 1968, i numeri non sono tutto. In un paese contano anche e soprattutto i sentimenti, le passioni, le aspirazioni della gente; e questi certo non li troviamo nei numeri. E allora bisogna cercare altrove. Altro che fare medie e balle varie.
Cercare i piccoli tesori nascosti in ogni persona. L'opera d'arte che un rudere può nascondere e portarlo alla luce.
Il papavero rosso in una finestra di una casa diroccata ma ricca di storia è quel barlume di speranza che rappresenta la vitalità di Roccaforte del Greco. Tocca allo Stato fare in modo che venga tutelato e valorizzato. Il resto sono solo numeri e la GENTE non ha bisogno di numeri. Vuole vivere. Vuole sognare. Vuole soprattutto sentirsi orgogliosa di essere Roccaforticiana.
Luigi Palamara
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